I Brics si allargano. Quali possibili scenari per l’Europa?

I Paesi Brics nel corso del tempo hanno tentato e, tentano tutt’ora, di modificare l’architettura del sistema governativo e finanziario internazionale, con lo scopo di ridurre il ruolo del dollaro e consolidare, allo stesso tempo, un nuovo assetto mondiale. Dal 2024, con l’ingresso di Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Iran si espande la quota di mercato delle materie prime per i BRICS.
Il ruolo delle materie prime per la compagine BRICS
Il 24 agosto 2023 è stata annunciato dai leader del Sudafrica, Cyril Ramaphosa, l’allargamento del blocco dei BRICS. Per alcuni questo può essere un guanto di sfida al blocco occidentale perché con i nuovi ingressi la loro associazione rappresenterà il 38% della produzione mondiale di gas, 43% di petrolio e il 67% di carbone. Inoltre l’allargamento di questo blocco, dal 2024, rappresenterà il 36% del PIL globale e il 46% della popolazione. Il valore che si aggiunge a questa compagine è rappresentato dal ruolo delle materie prime, quali petrolio, gas, ferro e alluminio.
Quattro dei sei nuovi membri – Arabia Saudita, Iran, Emirati Arabi Uniti ma anche Egitto – sono produttori di petrolio (i primi tre anche tra i maggiori esportatori al mondo) e Cina ed India hanno un grosso bisogno di fonti energetiche per rilanciare le proprie economie, in un momento in cui la Russia non ha più accesso al mercato europeo, ed ha bisogno di vendere i propri idrocarburi ma, non può impegnarsi da subito a mettere a punto infrastrutture (come gasdotti e oleodotti) per la distribuzione di fossile in Asia per via della guerra in Ucraina. La via marittima risulta più fattibile visto l’impegno di Pakistan ed Iran di dotarsi di strutture portuali verso oriente. Inoltre questo blocco vede l’ingresso congiunto di Arabia Saudita ed Iran che, dopo anni di tensioni tra Riad e Teheran, tramite il lavoro diplomatico cinese hanno ripreso rapporti pratici.
I Paesi del Golfo, con la loro liquidità, potrebbero essere l’elemento che darebbe slancio per una nuova moneta e per la Nuova Banca per lo Sviluppo, fondata appunto dai 5 membri Brics, per sostenere progetti sia pubblici che privati. Tale banca opera ancora in dollari ma promette di impegnarsi per mettersi in concorrenza con il Fondo Monetario Internazionale, il quale richiede un certo rigore finanziario o riforme strutturali in merito all’ordinamento per il rilascio di prestiti. Se i Brics implementassero un nuovo modo per aiutare chi più ne ha bisogno, ovviamente, ridurrebbe il soft power del blocco occidentale. Le istituzioni politiche ed economiche che sono nate all’indomani della seconda guerra mondiale sono messe in dubbio anche nell’approccio filosofico del Washington Consensus che non sembra avere più quel fascino persuasivo di un tempo.
Dal 2009, da quando è stato formato il blocco, si è sempre cercato di guadagnare più peso internazionale e controbilanciare il peso dei Paesi del G7 nelle istituzioni finanziarie. L’idea di porre le basi (almeno in via teorica) per creare una nuova valuta potrebbe essere un collante per tutti quei Paesi malcontenti contro l’egemonia del blocco occidentale nonostante sia difficile detronizzare il dollaro. Tuttavia, l’insistenza nel voler creare nuove alleanze e progetti finanziari e valutari tra Stati emergenti racconta di un mondo sempre meno Usa-centrico. Il vertice di Johannesburg sembrerebbe prendere la forma del “Manifesto di Putin di San Pietroburgo” per sostituire la moneta (il dollaro per il commercio internazionale) con le materie prime ma, per adesso non c’è nessuna intesa ancora. Gli scambi all’interno del blocco vengono effettuati tramite le proprie valute nazionali.
Paesi emergenti nuovi mercati
Con l’allargamento dei Brics aumenta anche la fetta di popolazione mondiale che rientra in un blocco cha ha l’ambizione di ridisegnare il sistema internazionale, inoltre, un particolare non da poco, cresce anche la quota di materie prime in loro possesso. L’elemento strategico per ergersi come nuova forza guida potrebbe essere la capacità di attrarre intorno a sé tutti quei Paesi che vengono definiti, usando l’espressione “terzo mondo” o “sud del mondo”, che non sono contenti dal modus operandi del blocco occidentale.
Sono circa in 40 i Paesi che avrebbero manifestato interesse ad aderire a questa nuova realtà. Un aiuto sarebbe se la loro capacità di tessere rapporti con altri si stimolasse anche con aiuti economici senza le condizioni poste dalle classiche istituzioni finanziarie, anche se a perdere peso sarebbe soprattutto il vecchio continente ed il mar Mediterraneo come luoghi strategici per i flussi di capitali e merci. L’Ue paga già uno scotto per via della sua poca determinazione nell’affrontare in maniera sistemica il problema dell’immigrazione e della cooperazione internazionale in Africa ed in Medio-Oriente.
Questo determina una tensione continua nel Mediterraneo, il quale si connette tramite Suez con i Paesi del Golfo e l’indopacifico, e con Gibilterra all’oceano Atlantico. Già ad oggi vediamo che la quota di esportazione dei Paesi nord-africani di idrocarburi verso l’Europa è diminuita per via dell’aumento della domanda interna e, se a tutto questo si aggiungesse anche una politica non chiara e frammentata da parte di Bruxelles, si potrebbe avere come effetto la perdita di prestigio e l’accreditamento di nuovi modelli implementati da nuovi nazioni leader.
Per ora l’Europa rimane un mercato importante ma il costante declino demografico, con il crescere del malcontento generale dovuto alle difficoltà dei membri di riprendersi dal post covid-19 e dalle ripercussioni della guerra in Ucraina, potrebbe far emergere altre realtà dove è presente una crescita demografica collegata ad una crescita economica e sociale.
L’Europa e l’Africa
Tra i 40 Paesi che hanno espresso interesse di aderire al blocco Brics molti sono stati africani, i quali non hanno una considerazione positiva dell’occidente. Negli anni addietro le vecchie potenze coloniali hanno comunque usufruito di collegamenti “culturali” per fare in modo di esercitare una certa influenza su questi Paesi. Il risultato è un crescente malcontento che porta a guardare altrove per sviluppare le proprie società. L’Ue da quand’è nata ha costantemente istituito programmi di aiuto per l’Africa ed in particolare per quelli che si affacciano sul Mediterraneo. Dopo quasi 70 anni la sua politica di cooperazione ha prodotto per la maggior parte accordi bilaterali tra i singoli stati membri dell’Ue e quelli della sponda sud.
Il recente colpo di stato in Niger mostra ancora una volta come sia presente un sentimento anti-occidentale, in particolare contro la Francia, in un’area delicata. Dal 1960 il Niger è un’ex colonia francese ma Parigi è sempre riuscita ad esercitare comunque una certa influenza su Niamey. Ricordiamo che in Africa opera la compagnia privata russa Wagner e nei giorni dopo il colpo di stato, in molti nella capitale sventolavano la bandiera russa facendo perdere credibilità alla Francia e all’Unione Europa.
I Paesi del vecchio continente sono giunti a questo anche perché hanno sempre preferito stipulare accordi bilaterali tra i singoli stati, senza avere una politica comune europea alimentando interessi nazionali e non europei. I giovani africani sono stufi dell’imperialismo che è stato condotto fino ad oggi e vedono nei russi, per esempio, i nuovi liberatori. La critica mossa va anche intesa sul lato ambientale e sanitario. L’attività estrattiva che è stata condotta fino ad oggi ha aumentato casi di tumori e creato miniere a cielo aperto che deturpano il paesaggio.
La Cina che è uno dei Paesi principali del blocco BRICS alla quale segue l’Africa, tant’è che nel 2050 si stima che un terzo delle industrie cinesi saranno trasferite nel continente nero dove i costi sono minori. Nel 2021 è stata istituita l’AfCFTA l’area di libero scambio del continente africano, la seconda al mondo, che mira ad accelerare il commercio intra-africano e rafforzare la posizione commerciale dell’Africa nel mercato globale tutt’oggi, e che l’Europa non segue.
I BRICS hanno già preso in quota paesi ricchi di materie prime, e se l’Ue non si capacita ad essere più determinante nel Mediterraneo, in Africa ed in Medio-Oriente, saranno altri a farlo, facendo perdere peso e credibilità ai Paesi del Vecchio continente.
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