Dalla ripresa economica alla recessione: uno sguardo all’Italia, all’Europa e oltre i confini europei

Continua la crescita dei prezzi in tutta Europa, spinta soprattutto dal costo dell’energia. Fuori dai confini dell’Ue si registrano i balzi record di Usa, UK e Turchia. Le tensioni sui mercati internazionali mettono le banche centrai di fronte ad un bivio: frenare l’aumento dei prezzi per rallentare l’inflazione, senza però ostacolare la crescita economica con il rischio della stagflazione.
Cos’è la recessione?
La recessione è una condizione macroeconomica caratterizzata da livelli di produttività e si verifica quando un paese non è più in grado di sfruttare la sua capacità produttiva perché la sua domanda di beni e servizi diminuisce. Le conseguenze della recessione sono l’aumento della disoccupazione, il rallentamento della produttività, il calo dei consumi e dell’accesso al credito.
Cos’è l’inflazione?
L’inflazione è un indice che misura l’aumento continuo e generalizzato del livello medio generale dei prezzi di beni e servizi. L’incremento dei prezzi genera una diminuzione del potere d’acquisto della moneta.
In poche parole, in presenza di inflazione, con una determinata quantità di monete si potranno acquistare, nel tempo, una quantità sempre minore di beni e servizi. L’inflazione si calcola mensilmente.
Il valore di un insieme di beni e servizi è chiamato “paniere” e se ne misura la variazione.
L’Italia tra inflazione e stagflazione
I timori di una recessione alle porte non si sopiscono dinanzi al timido rallentamento dell’inflazione in Italia. I dati ISTAT di aprile registrano, per la prima volta, una frenata all’aumento dei prezzi dello 0,1% su base mensile a fronte comunque di un incremento del 6% annuo (6,5% nel mese scorso).
I dati evidenziati dall’ISTAT sul mese di aprile sono dovuti alle contromisure disposte dal Governo per contrastare gli effetti della guerra in Ucraina e per tutelare il potere d’acquisto dei consumatori, compensando, in parte, i rincari subiti dalle famiglie ed imprese. Le stime di crescita dell’Italia sono state riviste al ribasso. Il Pil italiano crescerà del 2,5% nel 2022 contro il 3,8% stimato prima della guerra in Ucraina. Il ridimensionamento della stima è frutto soprattutto del livello più basso dei consumi delle famiglie, dovuto ai rincari dell’energia e dei generi alimentari. Nel 2021, si legge nel rapporto di PwC, il 77,37% del Pil italiano (1.378,3 miliardi su 1.781,2) derivava dai consumi. L’aumento dei prezzi e il calo dei consumi obbliga, di conseguenza, a ridimensionare le aspettative di crescita per quest’anno.
Secondo l’ISTAT, in Italia, a febbraio, l’indice armonizzato dei prezzi a consumo è cresciuto del 6,2% in un anno a causa dell’aumento di prezzo di gas e greggio che sono saliti dell’82,1% e aumentati ulteriormente dopo lo scoppio della guerra in Ucraina del 22%. Secondo molti, tra cui anche il Ministro per la Transizione ecologia, Roberto Cingolani, il rincaro è anche frutto della speculazione.
La riduzione delle esportazioni, sia russe sia ucraine, stanno provocando un forte rincaro delle materie prime agricole, come per il grano +10% e +35% per i mangimi. Stesso discorso per i metalli, alluminio +63% come per il nickel e il rame +12,9%. L’aumento dei prezzi colpisce anche i prodotti per la cura della persona e della casa. Per le famiglie italiane si prevede, per tutto il 2022, una spesa maggiore, in media, calcolata tra 1.000 e 1.200 euro a famiglia. Ovviamente questi impatti sono problematici perché viene ridotto il potere d’acquisto ma anche la ricchezza finanziaria facendo diminuire i consumi.
La situazione nell’Eurozona
L’Eurostat ha registrato il dato preliminare sull’andamento dei prezzi ad aprile 2022. L’inflazione ha toccato un incremento del 7,4 % annuale mentre, ad aprire 2022, il dato era inferiore alle previsioni (7,5%). Ovviamente la componente energetica è stata quella a più rapida crescita infatti su base mensile i prezzi al consumo nell’eurozona hanno registrato un incremento dello 0,6%.
I tassi più bassi sono stati registrati a Malta (4,5%), Francia (5,1%) e Portogallo (5,5%), mentre quelli più elevati sono stati registrati in Lituania (15,6%), Estonia (14,8%) e Cechia (11,9%). Rispetto a febbraio, l’inflazione annuale è diminuita in due Stati membri ed è aumentata in venticinque. I dati di Eurostat registrano un’inflazione galoppante a fronte di una crescita che rallenta ogni giorno, ed in molti paesi si torna a parlare di Patto di Stabilità e di debito pubblico col rischio di arrivare al 2023 in piena stagflazione, ovvero una mancata crescita accompagnata da un aumento dei prezzi. Il timore di entrare in recessione è più che concreto.
La speranza della ripresa economia dopo due anni di pandemia sta ripiegando su stessa a causa degli effetti distorsivi generati dalla guerra perpetrata dalla Russia ai danni dell’Ucraina e che si combatte, non solo con le armi, con conseguenze drammatiche.
I dati peggiori in Europa sono registrati in Spagna che scavalca la media dell’Eurozona, dove il tasso di inflazione annuo è cresciuto del 7,5% a marzo, in aumento dal 5,9% di febbraio. La corsa inflazionista a Madrid rileva il dato più alto da maggio 1985.
Per la BCE la sfida è delicatissima perché dovrebbe trovare una quadra per garantire sia la stabilità dei prezzi evitando l’inflazione dovuta dalla perdita del potere d’acquisto dei salari e dalla mancata propensione agli investimenti. La sfida era stata già posta ad aprile durante il meeting dei responsabili politici della BCE che hanno condiviso la preoccupazione per l’allargarsi dell’inflazione aggravata dalla guerra, ma la linea scelta il mese scorso è quella della prudenza, ovvero flessibilità, gradualismo e osservazione attenta dei dati in vista del meeting di giugno. Il fattore tempo è essenziale per via delle pressioni crescenti esercitate dal rialzo sui prezzi.
Nel meeting di aprile si è parlato però anche di crescita, con atteggiamento propositivo, poiché c’erano, e ci sono tuttora, prospettive di aumento dell’area euro per il terzo trimestre che sono “positive” (grazie al comparto turistico) nonostante la guerra, il rialzo dei prezzi e i contraccolpi al commercio globale dai lockdown in Cina. La valutazione per il quarto trimestre quindi resta positiva e “finora la valutazione è che la guerra porterà a un temporaneo rallentamento della crescita, ma non a un ridimensionamento persistente”.
A livello macroeconomico si dovrebbe lavorare per tutelare i redditi, riducendo i prezzi delle materie prime e dell’energia, incentivando le rinnovabili. In questa situazione l’Europa deve rimare unita e adottare politiche comuni, riscrivendo le regole fiscali a supporto delle economie nazionali.
Oltre i confini dell’UE
Il primo dato record si è registrato in UK con un indice dei prezzi al consumo che è salito del 7% a marzo. È l’incremento annuo maggiore che sia stato messo nero su bianco dall’inizio delle serie storiche dell’Office for National Statistics nel 1992. Un altro caso eclatante è la Turchia che ha registrato un rialzo dei prezzi al consumo pari al 61,14% su base annuo tra marzo 2021 e marzo 2022. Dall’altra parte dell’Atlantico, gli USA si stanno confrontando con una crescita inflazionistica che non trova pari negli ultimi decenni. I rincari sull’energia di quest’anno sono i più bruschi dal 1981.
Negli ultimi mesi la FED potrebbe valutare per luglio un rialzo dei tassi (stessa cosa per la BCE). La verità è che le variabili in campo sono troppe e “la soluzione” si prospetta essere una sola: la fine della guerra.
Il pericolo è che si inneschi un circolo vizioso tra prezzi al rialzo e salari in ascesa, che ridurrebbe ulteriormente il potere d’acquisto dei consumatori. Quello che è certo è che finora sono stati i ceti meno abbienti a pagare il conto dell’inflazione che è al massimo da 30 anni.
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