Perché è così importante l’Afghanistan?
L’Afghanistan è uno Stato prevalentemente montuoso, senza sbocchi sul mare e che conta circa 40 milioni di abitanti. Fin dall’800 il Paese è teatro di interessi geopolitici internazionali. La sua posizione, nel cuore dell’Asia, lo rende un paese strategico e allo stesso tempo un territorio ambito da molte potenze.
Nella seconda parte dell’800 iniziarono gli inglesi, poi i russi durante la guerra fredda e più recentemente gli USA. Ma perché è cosi importante l’Afghanistan? Sul territorio afghano sono presenti molte risorse minerarie, come rame, cobalto, uranio, e ferro, ma soprattutto combustibili fossili e litio.
Gli Stati Uniti nel 2010, dopo studi fatti, hanno stimato che il Paese possiede almeno 1000 miliardi di dollari in risorse, tanto da averlo definito “l’Arabia Saudita del litio”. Questo ovviamente pone una serie di riflessioni perché da un lato ci sono grosse opportunità economiche, ma dall’altra parte, la complicata situazione e il clima di tensione che si respira rende complicato il loro sfruttamento. Per fare un esempio, ad oggi nonostante le stime impressionanti sulle ricchezza mineraria, l’attività estrattiva rappresenta solo il 7-10% del PIL.
Gli interessi delle altre potenze
Cina, Russia, Turchia e Iran hanno mantenuto aperte le proprie ambasciate a differenze delle altre potenze straniere che, in questi giorni stanno evacuando personale civile e militare dal Paese insieme alle migliaia di afghani che hanno collaborato con gli alleati.
Nei giorni scorsi una delegazione talebana guidata dal mullah Adbul Ghani Baradar, ha incontrato il ministro degli esteri cinese Wang Yi. Il motivo di tale incontro era confrontarsi per contenere la criminalità e il terrorismo. La Cina in questo momento coglie l’opportunità del ritiro americano in termini di retorica e propaganda.
Tant’è vero che i media cinesi hanno criticato il fallimento del progetto di esportazione della democrazia taggato USA. Il Global Times in un articolo scrive: “L’abbandono afgano degli USA, una lezione per Taiwan”. Ma al di là della propaganda cinese, il governo del dragone offrirebbe ai talebani, il riconoscimento politico internazionale.
E non solo. Pechino è interessata alla vicenda afghana anche per una questione di sicurezza interna. La Cina condivide un confine lungo 76 km con l’Afghanistan (il corridoio del Wakhan) e farà di tutto per impedire che diventi un sostegno per i separatisti uiguri di minoranza islamica nella regione di frontiera dello Xinjiang.
Pechino è pronta ad offrire ai talebani il riconoscimento internazionale a cui ambiscono e a sostenere la ricostruzione del Paese coinvolgendolo nel progetto Belt and Road Initiative (Via della Seta) con grossi investimenti, ma dovrà sempre fare i conti con un regime fortemente sensibile alle istanze islamiche degli Uiguri nello Xinjiang.
In Russia invece il governo è preoccupato per la situazione che si è venuta a creare. Già negli anni ’90 quando i talebani controllavano il paese, hanno determinato una serie di effetti a cascata di certo non positivi sui paesi vicini come Tajikistan, Uzbekistan e Turkmenistan, i quali condividono le frontiere sia con la Russia e sia con l’Afghanistan.
L’interessamento di Mosca è legato all’aspetto sicurezza, la preoccupazione deriva dall’ideologia estremista salita al potere con i talebani possa fuoriuscire e contagiare paesi amici o partner.
Problema profughi afghani all’orizzonte?
Dei 2,5 milioni di rifugiati afghani solo il 16% ha ricevuto protezione in paesi europei. Dal 2009 al 2020 circa 500 mila afghani hanno raggiunto l’Europa in maniera illegale. La preoccupazione per i governi europei è che questo possa ripetersi. Bruxelles guarda con attenzione a quello che può accadere nei paesi di transito come Iran e Turchia, che si offrono di interloquire con i talebani.
Ricordiamo che negli ultimi 10 anni i paesi UE, ed extra, hanno ricevuto oltre 600 mila richiesta d’asilo da parte di afghani. Per ora ci sono stati 310 mila di istanze raccolte e 290 mila respinte, e atre 92 mila richieste in attesa di risposta. In questi ultimi anni i governi europei hanno rimpatriato circa 70 mila afghani.
L’allarme che risuona in Europa è la questione dei richiedenti asilo e protezione. Solo nei paesi membri dell’Unione ci sono 310 mila richiedenti, di cui 60 mila donne. Al momento i paesi Ue hanno sospeso le procedure di rimpatrio. Ma non basterà una moratoria a risolvere il problema, se poi le persone che non vengono rimpatriate non hanno un permesso di soggiorno e una protezione nel paese in cui vivono, e non possono fare altre che rimanere in Europa se non in condizione di irregolarità.
Il presidente Erdogan, dal canto suo, ha accolto con favore il ritorno a Kabul dei talebani, definendo le dichiarazioni dei fondamentalisti islamici “moderate” e alquanto “promettenti”. L’apertura della Turchia ha provocato imbarazzo in contraddizione con le dichiarazioni di voler combattere ogni forma di terrorismo.
Infatti la maggior parte dei leader talebani è presente nella lista nera del terrorismo internazionale dal 1999. Ankara era impegnata a cercare un accordo con Washington per assumere la missione di protezione e gestione dell’aeroporto Hamid Karzai, una volta che le forze della coalizione internazionale avessero completato il loro ritiro dall’Afghanistan. Ora la situazione è cambiata.
Negli ultimi periodi il governo turco, tramite il Pakistan e il Qatar, ha intrapreso contatti con i talebani che hanno definito il paese della mezza luna un “grande fratello islamico”, e dal quale si aspettano cooperazione e assistenza. Erdogan cercherà di influenzare i suoi rapporti con i talebani affinché il nuovo governo vi siano figure a lui vicine come Gulbuddin Hekmatyar, ex primo ministro afghano che si era mostrato favorevole ad un governo provvisorio ed inclusivo.
La ragione di tale “improvviso interesse” è che Ankara in questi ultimi anni ha danneggiato i suoi rapporti con l’UE e con gli USA, e quindi ora cerca di sfruttare il momento per assumere una posizione di mediatore tra i talebani e le altre potenze, e mostrarsi prezioso per i Paesi occidentali.
Il rischio di una nuova ondata migratoria dall’Afghanistan pone una certa importanza i rapporti tra la Turchia e l’Europa, la prima non sarà disposta a fare il magazzino dei profughi e cercherà di fare leva affinché possa trarre dei vantaggi. In tutto ciò, nonostante i canali aperti della Turchia e la sua voglia di mediare, Erdogan ha avviato la costruzione di una barriera di 300 km (di cui 156 completi) lungo la frontiera con l’Iran.
L’apertura della Turchia ha fatto corre ai ripari la Grecia che per evitare ondate migratorie ha costruito un muro di 40 km lungo il confine turco. L’Unione Europea sta ancora aspettando che i singoli governi nazionali indichino il numero dei profughi che intendono accogliere.
Una forte risposta può essere data dai big del mondo al G20. “L’Italia, come presidente del G20 e in stretto coordinamento con il G7, ha in programma di convocare una riunione ad hoc per promuovere una discussione approfondita”. L’ha dichiarato al G7 Esteri il ministro Di Maio. Il presidente del Consiglio italiano ha avuto nei giorni scorsi una conversazione telefonica con il presidente russo Putin per analizzare la situazione afghana e le implicazioni regionali.
Durante il colloquio il governo italiano ha discusso su come la comunità internazionale può muoversi nei diversi contesti per la stabilità afghana e continuare a contrastare il terrorismo, i traffici illeciti e difendere i diritti delle donne. La telefonata Draghi-Putin arriva il giorno prima dell’arrivo della Merkel a Mosca per il suo ultimo faccia a faccia con il presidente russo, il che sembra confermare l’impressione di una nuova centralità italiana all’interno dell’UE ma anche quello che l’Occidente (Europa e Nato) ha bisogno di interlocutori di mezzo con i Talebani.
Un G20 straordinario
La “sede naturale” della collaborazione è il G20 l’ha detto lo stesso presidente del Consiglio italiano, di cui l’Italia ha quest’anno la presidenza. In questi giorni Palazzo Chigi si sta muovendo per una riunione straordinaria per fine ottobre. Per Draghi il G20 ha una valenza strategica perché si può giungere ad un impegno tra le diverse potenze mondiali su diversi fronti.
L’ondata migratoria porta con sé il rischio di nuovi terroristi, il problema è come arginare tale pericolo. Una possibile soluzione potrebbe essere il “modello turco”, ovvero il supporto dei paesi limitrofi per fare in modo che il dirottamento dei profughi sia diretto verso Sud e non verso la penisola balcanica, sulla quale Draghi ha richiamato già l’attenzione del consiglio europeo.
Poi c’è il fronte dei diritti. La ministra della Pari Opportunità italiana Bonetti afferma che: “I tragici accadimenti di questi giorni rafforzano la necessità di lavorare per un dialogo che porti a una posizione chiara e comune sulla tutela dei diritti delle donne in Afghanistan. L’Italia avrà un ruolo importante nel porre questo argomento nell’agenda del vertice e favorire una condivisione di tutti i Paesi del G20, anche quelli non occidentali”.
L’appuntamento di Santa Margherita Ligure è fondamentale perché potrebbe essere la sede dove verrà prodotto il primo vincolo internazionale scritto sul rispetto dei diritti delle donne e dei più deboli in Afghanistan.
I governi europei hanno gli strumenti per garantire la protezione temporanea alle migliaia di afghani non protetti e già in Europa. Sarebbe la dimostrazione che l’UE non intende lasciarli soli in un momento come questo. Ma purtroppo la questione afghana divide l’Europa. I rappresentanti dei governi di Grecia, Danimarca, Belgio, Germania, Paesi Bassi e Austria hanno inviato una richiesta alla Commissione UE con la quale chiedono di non fermare i rimpatri degli afghani nei loro paesi ai quali non è stato riconosciuto lo status di rifugiato.
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