La crisi alle porte dell’UE

La crisi Serbia-Kosovo ha visto l’intervento diplomatico dell’Unione Europea e, recentemente, dell’Italia. Quale sarà il ruolo italiano nella penisola balcanica con la guerra in Ucraina? La crisi, partita dall’annuncio del divieto di usare i documenti serbi nel Nord della Regione del Kosovo a maggioranza serba, ha riacceso le tensioni mettendo in stato d’allerta la Kosovo Force (KFOR) della NATO, di cui l’Italia ha il contingente più numeroso.
Polveriera d’Europa
Il braccio di ferro tra la Serbia e il Kosovo sarebbe sbagliato ridurlo ad una crisi partita dalle targhe per la circolazione delle vetture, infatti è anche il frutto di una guerra, purtroppo, d’odio etnico – nazionale che va avanti dal 1998. Le tensioni tra serbi e kosovari si sono moltiplicate nel 2008, quando Pristina, sostenuta dal blocco occidentale (UE, Nato e USA) si autoproclamò indipendente, senza il riconoscimento di Belgrado né di Mosca, e soprattutto da 100 mila cittadini residenti nel nord della regione del Kosovo a maggioranza serba.
La crisi internazionale in atto ha ulteriormente inasprito le tensioni
La guerra delle targhe è nata dalla decisione del governo di Pristina di iniziare la ri-registrazione dei veicoli muniti di targhe serbe rilasciate dalle autorità serbe recanti le sigle delle municipalità kosovare, sostituendola con quelle recanti la sigla “RKS” (Repubblica del Kosovo) senza costi amministrativi. È importante precisare che la questione non riguarda le targhe delle città serbe, ma solo quelle che hanno i nomi delle città del Kosovo, utilizzate da un gruppo di serbi che vive al nord della regione.
Dall’inizio delle prime tensioni ci sono state diverse proroghe al divieto, prima fino al 30 settembre, poi posticipata al 31 ottobre. A novembre sarebbe dovuto scattare l’obbligo da parte dei serbi kosovari di utilizzare targhe con la sigla “RKS”. Tale scadenza è stata ulteriormente rinviata da Kurti (primo ministro del Kosovo), il quale ha annunciato una immatricolazione per gradi, con una prima fase di notifica, poi una di multa, ed infine, l’obbligo definitivo a partire dal 21 aprile 2023. Nonostante questo alcuni veicoli recante la targa RKS sono stati bruciati nel nord del Kosovo con intento intimidatorio.
I Balcani: area d’interesse per la politica estera italiana
Quando ci fu il crollo dei regimi socialisti nei Balcani, l’Italia ricoprì un ruolo centrale nelle vicende della penisola, gestendo con ottimi risultati la crisi in Albania degli anni ’90, assumendosi un impegno, sia politico e sia militare, durante la dissoluzione della Jugoslavia, e durante la crisi del Kosovo nel 1998. Il ruolo dell’Italia nella ricostruzione, nello sviluppo economico con importanti capitali sia pubblici che privati, e soprattutto l’accoglienza dei profughi, ha reso l’Italia un partner privilegiato.
Il 22 novembre è stata una giornata di missioni a due tappe. Infatti il Vice-premier e ministro degli esteri Tajani e il ministro della difesa Crosetto sono stati presenti in Serbia e in Kosovo per favorire il dialogo tra Belgrado e Pristina. L’Italia intende incoraggiare il dialogo anche per dare slancio alla loro prospettiva europea.
Per Roma la stabilità di quell’area è fondamentale infatti significa:
- contenimento dei flussi migratori;
- proiezione di politica estera ben precisa.
In merito al primo punto c’è da dire che le rotte dei migranti verso il sogno europeo sembrano aver trovato come via preferenziale il corridoio balcanico, dove però l’assenza di politiche di accesso legale ai Paesi europei e la carenza di servizi amministrativi creano cortocircuiti al confine. L’assenza di attori istituzionali è stata sostituita da società civile e dal terzo settore, e per i migranti è difficile accedere a meccanismi di ingresso legale e tentano la richiesta d’asilo che appesantisce il sistema amministrativo e fa aumentare il numero di irregolari. Inoltre i Paesi balcanici sono anche realtà che generano migrazione infatti circa 6 milioni tra bosniaci e serbi vivono in Paesi europei, e dato il ritorno di fiamma c’è preoccupazione che i numeri possano continuare a salire.
Per quanto riguarda il secondo punto, in quell’area, altri Paesi nel corso degli ultimi anni hanno sfruttato i propri canali preferenziali per mettere piede nella contesa, come Germania e Turchia. Entrambi i Paesi hanno programmi per creare spazi e sfere di influenza in zone dove la storia ha visto il susseguirsi di diversi imperi.
L’instabilità nei Balcani coinvolge l’Italia, stessa cosa l’instabilità nel Mediterraneo, e per Roma è urgente essere presente in queste realtà anche militarmente per far fronte ai cambiamenti del sistema internazionale. Le vicende storiche e il ruolo rivestito dall’Italia nella KFOR, forza militare NATO guidata dall’Italia, ne hanno fatto una potenza di cui tenere conto per garantire equilibri nella regione. L’Italia può e deve avere un ruolo importante da protagonista perché quello che succede dall’altra parte dell’Adriatico potrebbe essere un problema di pericolo per la sicurezza nazionale e di interessi geopolitici in un quadro più ampio del Mediterraneo.
Proiezione globale della guerra in Ucraina
La guerra tra la Russia e l’Ucraina non può essere circoscritta solo ai campi di battaglia ucraini, essa ha conseguenze politiche in altre parti del mondo dove l’instabilità è praticamente di casa. Basta osservare cosa accade in Africa e Medio Oriente per esempio.
La guerra tra Russia e Ucraina essendo parte integrante della sfida al primato mondiale, anche nei Balcani, sia gli Stati Uniti che la Russia hanno intenzione di giocare una partita importante. La Russia ha sempre mantenuto legami di “fratellanza slava” con la Serbia, e gli USA non hanno esitato a supportare i kosovari.
La Russia è un alleato prezioso per la Serbia nell’ostacolare il riconoscimento internazionale del Kosovo, ma Belgrado è divisa tra le velleità di ingresso nell’Unione Europea e il supporto di Mosca. Infatti la Russia ha impedito finora l’ingresso di Pristina all’Onu al palazzo di vetro e per questo la Serbia ha concesso diversi benefici economici e politici. Sia il blocco occidentale da un lato, sia la Russia dall’altro lato, faranno pressione per vedere sostenute le proprie politiche. Per il Cremlino l’area dei Balcani occidentali è ideale come campo di battaglia, perché non così difficile da destabilizzare considerato la presenza di piccoli stati con rapporti non ottimi.
Il presidente serbo Vucic non ha aderito alle sanzioni europee contro la Russia e per questo è considerato un importante alleato del Cremlino nonostante l’Unione Europea fornirà 1 miliardo di euro ai Paesi dei Balcani occidentali tra cui la Serbia, sotto forma di sovvenzioni per affrontare la crisi energetica. Un doppio gioco palese che finora ha funzionato, ma che con la guerra in Ucraina Bruxelles non può più tollerare.
Mosca non è l’unica potenza ad aver allungato le mire sulla regione, infatti la Cina, che ha le stesse posizioni della Russia sul non riconoscimento del Kosovo, ha avviato da anni importanti investimenti nell’area sotto forma di prestiti per la costruzione di infrastrutture. Nei Balcani la presenza cinese è un qualcosa di grosso ma che si rivela un po’ una trappola, ad esempio la Serbia l’anno scorso aveva un debito con la Cina pari al 7% del Pil, stessa cifra più o meno la Macedonia del Nord. Nel Montenegro è addirittura al 21%, e sempre l’anno scorso Podgorica ha avuto difficoltà a ripagare una maxi rata. Questa dovrebbe essere una sfida anche europea visto il continuo corteggiamento della Turchia nell’area che sogna di diventare un hub per il gas russo e connettersi all’Europa tramite i Balcani.
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