Una transizione difficile

“La crisi del gas rischia di diventare una crisi sistemica. Urgono interventi immediati”
Antonio Gozzi
L’obiettivo dell’UE
Un ambizioso obiettivo che la Commissione Europea si è posta nel 2019 è quello di diventare il primo continente a impatto climatico zero, attraverso l’istituzione dell’European Green Deal. Per fare ciò bisogna mettere in campo una serie di politiche per affrontare la sfida della sostenibilità sul lungo periodo. Le misure e le risorse da mettere in campo sono tante e devono abbracciare diversi ambiti: ambientali (indubbiamente), economici e sociali poiché bisogna coinvolgere tutti per evitare meccanismi di esclusione.
Per la Commissione Europea, il Green Deal è l’àncora di salvezza per andare oltre la pandemia, tant’è vero che questo verrà finanziato dal Next Generation UE e dal bilancio settennale dell’Unione. Ma la transizione ecologica posta in essere è un lungo cammino. Il gas naturale è una risorsa fondamentale ed è meno inquinante del carbone infatti è visto come uno dei mali minori nel medio e lungo periodo. Esso rappresenta la risorsa più sostenibile e viene impiegato per produrre energia elettrica. Ma la questione gas sta portando ad una crisi.
La crisi dei prezzi
Dall’inizio di luglio 2021 assistiamo ad un aumento vertiginoso del prezzo del gas naturale, da €28/MWh di giugno ai €115/MWh di ottobre. L’aumento del prezzo del gas naturale fa aumentare a sua volta il prezzo dell’energia elettrica che è prodotta in buona parte con questa materia prima.
In questo quadro a soffrire sono i paesi che non dispongono di materie prime e di fonti di energia, come l’Europa.
I paesi europei sono quelli più colpiti dal rincaro dei prezzi del gas naturale e a settembre si registrava un aumento del +280% rispetto a gennaio. Il 22 settembre i ministri dell’energia dei paesi UE hanno discusso sull’impennata dei prezzi che spinge l’inflazione al 3% danneggiando, i consumatori e la ripresa economica.
Le cause di questa crisi sono tante: i lockdown che nel 2020 hanno prodotto un rallentamento dell’attività economiche e, di conseguenza, l’attuale ripresa ha determinato un aumento della domanda di materie prime e di energia; I bassi livelli di stoccaggio dovuti ai lockdown invernali; l’aumento della domanda mondiale e lo scarso contributo dell’eolico.
I retroscena geopolitici
L’Europa acquista circa l’80% del gas naturale (300 miliardi di metri cubi l’anno) dalla Russia e dall’Algeria. La prima ha il coltello dalla parte del manico e in questo periodo ha ridotto i flussi verso il vecchio continente a favore dei paesi asiatici.
La Russia è il principale fornitore di gas dell’Unione Europea (43% delle importazioni) e, secondo alcuni, avrebbe ridotto le esportazioni di gas verso il vecchio continente e lasciato gli impianti di stoccaggio che gestisce a livelli molto bassi. Fino all’ estate la Russia è stata un fornitore affidabile ma il gigante russo del gas Gazprom sostiene che i prezzi del gas sono esplosi perché alcuni paesi asiatici stanno cercando di sostituire il carbone col gas naturale. A complicare la situazione è il progressivo esaurimento di uno dei giacimenti di gas naturale in Europa, Groeninghen in Olanda.
40 onorevoli del parlamento europeo accusano Mosca che il rialzo dei prezzi è un meccanismo di pressione sull’UE, ed in particolare per il futuro governo tedesco, affinché venga approvato l’avvio del Nord Stream2, che collega la Russia alla Germania. Il risultato è che in questi giorni gli impianti di stoccaggio tedeschi sono in parte vuoti e ciò pone l’Europa in una situazione drammatica in caso di un rigido inverno: ad oggi il 10% dei cittadini europei non può permettersi di riscaldarsi adeguatamente.
Probabilmente la questione è legata al Nord Stream2. Esso è contestato anche dagli americani poiché secondo Washington produce dipendenza dell’UE da Mosca. Inoltre la proprietà del gasdotto è parzialmente nelle mani di Gazprom e le regole europee prevedono una separazione molto netta tra proprietà della produzione e della distribuzione. In tal senso sono state avanzate delle richieste tedesche dalle quali sono scaturite delle tensioni perché Gazprom e la Russia non hanno intenzione di accettare.
Oltre alla vicenda con la Russia, vi è un’altra, ovvero la crescita economica di Paesi produttori ed esportatori nel Mediterraneo come Egitto ed Algeria. Il loro sviluppo determina un aumento di domanda interna che prima era destinata all’esportazioni.
Ma ci sono altri fattori che determinano la crisi del gas, l’Algeria. Il 31 ottobre il presidente Abdlmadjid Tebbone ha annunciato che la compagnia Sonatrach non avrebbe rinnovato il contratto per le esportazioni di gas verso la Spagna attraverso il Marocco mediante il gasdotto Gaz-maghreb-Europe. Algeri ha di fatto interrotto un’importante fornitura energetica agli spagnoli pari a 6 miliardi di metri cubi di gas.
L’Algeria ha promesso alla Spagna una compensazione fornendo Madrid attraverso il gasdotto Medgaz che è collegato con Almeria. Sino ad ottobre è stata utilizzata una condotta sottomarina di 1.400 Km, nota come Maghreb-Europe gas Pipeline (MEG) che da 25 anni trasporta più di 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno dall’Algeria alla Spagna e al Portogollo, passando per il Marocco per 540 km. Il gasdotto consente ai due paesi europei di coprire circa il 30% del proprio fabbisogno annuale di gas.
La promessa di compensazione è un intervento comunque non sufficiente per raggiungere la fornitura abituale: la Spagna ha una dipendenza del gas algerino. Secondo i dati di Enagas, Madrid acquista il 47% del gas algerino, pari a 15 miliardi di metri cubi, di cui sei tramite il gasdotto che attraversa il Marocco (Maghreb), otto tramite la condotta sottomarina (Medgaz) e uno via mare sotto forma di gas naturale liquefatto.
L’Algeria ha promesso di moltiplicare le consegne di gas naturale liquefatto via nave ma, considerata la rarità dei mezzi sul mercato, c’è il consistente aumento dei prezzi e la poca affidabilità di poter garantire forniture regolari.
Queste azioni dell’Algeria sono dovute alle rotture delle relazioni con il Marocco per via del sostegno di Rabat ai movimenti separatisti della Cabilia, una regione nel nord dell’Algeria, e per la crisi del Sahara occidentale dove gli USA e altri paesi arabi e africani riconoscono la sovranità del Marocco a discapito dell’Alegria.
Ma queste mosse colpiscono i paesi europei in quanto il Marocco non si è mosso di fronte alla chiusura del gasdotto. Algeri, quindi, sta cercando di esercitare pressione contro l’UE attuando decisioni in un momento dove il prezzo del gas è alto e ciò rappresenta una crisi per l’approvvigionamento energetico.
A complicare la situazione è un’altra crisi. Il premier polacco Mateusz Morawiecki ha accusato Lukashenko di fare «terrorismo di Stato», conducendo un nuovo tipo di guerra in cui «le munizioni sono i civili». Da quest’estate la Bielorussia aiuta migliaia di migranti a raggiungere l’Europa dal confine con la Polonia e quest’ultima non vuole accoglierli. A fine giugno l’Unione Europea ha imposto delle sanzioni economiche a Misk per il volo dirottato della Ryanair che ha portato l’arresto del giornalista Roman Protasevich.
Nel confronto tra Bielorussia e Unione Europea ha fatto ingresso il gas. Ovviamente non quello bielorusso che non ne ha, ma quello russo, che passa attraverso il suo territorio. Lukashenko ha minacciato di interrompere i flussi di gas russo che passano tramite il gasdotto Yamal-Europe, che dalla Bielorussia arriva in Polonia e poi in Germania, e ha una capacità di trasporto di 33 miliardi di metri cubi di gas l’anno.
La chiusura del gasdotto Yamal-Europa comporterebbe delle ripercussioni sul mercato europeo del gas che attraversa un momento di difficoltà. Le affermazioni del presidente bielorusso hanno fatto salire i prezzi portando i contratti ad un aumento del 2,1 % arrivando a 71,3 euro al megawattora.
La sfida per l’Unione Europea
Di recente è stato concluso un accordo per lo sfruttamento ventennale di nuovi giacimenti di gas naturale del Chalus scoperti nel Mar Caspio a largo dell’Iran. Le compagnie russe deterranno il 40% delle quote, quelle cinesi il 28% e quelle iraniane il 25%. La società russa Transneft afferma che il giacimento di Chalus può coprire il 72% del fabbisogno dell’Italia, Germania ed Austria ogni anno per 20 anni di durata dell’accordo a guida russa. E secondo un ufficiale russo che ha partecipato alle trattative dell’accordo ha affermato che questo ha assicurato il controllo energetico sull’Europa.
In questo contesto di crisi, secondo un rapporto della Bank of America afferma che la capacità di stoccaggio del gas in Europa è 15 punti al di sotto del normale per questo periodo, e l’Organizzazione Europea per l’Ambiente (Eeb) afferma, lanciando l’allarme, che la transizione energetica verso fonti di approvvigionamento rinnovabili implica l’utilizzo di fonti non rinnovabili e limitate come il gas naturale.
Quest’ultimo è meno inquinante del carbone ma usarlo significa emissioni di CO2 il quale causa l’effetto serra, e determina, contemporaneamente, scenari di crisi per l’approvvigionamento, fondamentale per la transizione ecologica ed energetica. Per l’UE la sfida è duplice: da un lato vuole evitare la propria dipendenza energetica, dall’altro non vuole abdicare al ruolo di guida mondiale nella lotta al cambiamento climatico.
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